Indagare il “senso del cinema” significa riflettere sulla modalità di fruizione di un film
Risale al 1895 la prima proiezione pubblica da parte dei fratelli Lumiére, presso una proto-sala cinematografica. Fino a quel momento, infatti, erano state studiate delle macchine per il cinema (ad esempio da Edison), ma mancavano la ritualità e collettività della fruizione.
Il consumo cinematografico ha una propria storia, che muove oggi verso un’individualizzazione: per vedere un film non è più necessario accedere a una sala cinematografica, ma basta usufruire di una piattaforma online.
Con la fruizione domestica di un film può anche venir meno uno degli elementi necessari e fondativi dell’esperienza di spettatore cinematografico: il buio.
Eppure, il cinema, concepito come luogo fisico, non sembra destinato a morire.
Perchè, ancora oggi, andiamo al cinema?
Intervistando diverse persone, emerge un elemento costante, ricollegato agli elementi costitutivi del cinema delle origini: la collettività e ritualità.
Alla domanda “perchè vai al cinema?”, le risposte degli intervistati presentano un elemento comune: la fruizione in sala è un’esperienza più immersiva, in cui si ha una percezione piena e completa dello schermo.
Interessante è notare anche che la maggior parte degli intervistati ha sottolineato come ci siano certi film che, a loro avviso, si prestano solo ad una visione in sala: solo con gli strumenti di cui è dotata una sala cinematografica (schermo, audio ecc) è possibile cogliere al meglio gli aspetti più tecnici di un film, come la fotografia e l’audio.
È emerso anche che la fruizione di un film in una sala cinematografica rende l’esperienza stessa di spettatore più “magica”: si crea una sorta di fascinazione e poeticizzazione del film, rendendo il rapporto spettatore-personaggio più intimistico.
[...] la magnificazione di quegli oggetti che, senza artificio, la nostra mente non avrebbe elevate alla vita superiore della poesia. [...] conferire valore poetico a qualcosa che non ne aveva, restringere a piacere il campo obiettivo per intensificare l'espressione, sono queste le due proprietà che contribuiscono a dare della scenografia cinematografica il quadro adeguato della bellezza moderna.
Louis Aragon, “Du décor”, Le film
Sull’elemento dell’immersività e della fascinazione potrebbe esserci un rimando ancestrale alla storia del cinema: la fotogenia.
Già negli anni Venti, infatti, il regista e teorico Jean Epstein indagò proprio su questo aspetto “magico” ed “enigmatico” provocato dall’esperienza cinematografica: la realtà, attraverso l’obiettivo della macchina da presa, rimane la stessa o acquisisce proprietà inedite?
Epstein chiama fotogenia la qualità essenziale del cinema:
la fotogenia è la capacità di maggiorazione estetica della realtà
L’ “occhio” del cinema possiede delle capacità inumane e analitiche, capaci di modificare la realtà e di accedere ad un dialogo intimistico coi personaggi.
Quello sguardo di vetro ci attraversa bruscamente con la sua luce di ampere. È in questa potenza analitica che si trova la sorgente inesauribile dell’avvenire cinematografico.
Jean Epstein, Le Cinématographe vu de l’Etna
Infatti, l’obiettivo, è in grado di scomporre lo spazio e il tempo, tramite inquadrature posizionate in punti insoliti o irraggiungibili dalla quotidiana visione umana, ma anche tramite il ralenti e l’accelerazione.
Anche il primo piano risulta una modificazione della naturale visione delle cose, rendendo i dettagli dei volti accessibili.
Le sale cinematografiche attuali, allora, potenzierebbero l’aspetto fotogenico del cinema (che è la sua stessa essenza): uno schermo grande potenzierebbe l’efficacia emotiva del primo piano, l’audio e le colonne sonore risulterebbero maggiormente amplificate e, inoltre, si recupererebbe l’aspetto collettivo che i fratelli Lumière avevano inaugurato.
Ancor più significativo è l’impatto della fotogenia sugli spettatori se pensiamo che al tempo del cinema muto gli attori non si esprimevano attraverso le parole, ma ogni gesto, inquadratura ed espressione assumeva significati evocativi e simbolici, che esprimevano l’ “anima” del personaggio.
La macchina cinematografica si evolve e cambia negli anni, grazie ad evoluzioni e miglioramenti tecnici, ma l’essenza del cinema rimane invariata e continua a suscitare una fascinazione immutabile anche sugli spettatori di oggi.
L’esperienza cinematografica risulta immersiva ed emotivamente evocativa tanto per gli spettatori del cinema degli anni Venti, quanto per quelli attuali.
“Ciò che conta è l’anima dell’immagine”. Il cinema chiama l’introspezione, sollecita il sogno così come i sentimenti eccessivi; il cinema-espressione ci porta nei luoghi più profondi della nostra sensibilità, della quale preferisce i momenti dell’intensità. Sembra che le immagini in movimento siano state inventate appositamente per permetterti di visualizzare i nostri sogni. L’espressione cinematografica offre all’immaginazione la più grande libertà; le permette di vagabondare a suo piacimento, e di raccontare i nostri più inafferrabili smarrimenti.
Jean Tédesco, “Cinema espressione”, Cahiers du mois
Potremmo dire, allora, che il cinema è davvero un mezzo espressivo “immortale” e senza tempo?
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