CANVAS: UNA TELA DI RICORDI
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CANVAS: UNA TELA DI RICORDI

Aggiornamento: 4 dic 2023

Un cortometraggio animato di Netflix, in cui il regista, Frank E. Abbey III, offre una riflessione sul potente ruolo dell’arte.

Dopo la perdita della moglie, un anziano signore perde l’ispirazione per la pittura, cadendo in una profonda demotivazione depressiva. Il vuoto interiore causato dal grave lutto si traduce visivamente in una tela vuota. Sarà la curiosità della sua nipotina, animata dalla stessa passione, che lo riporterà a tu per tu con un vecchio ritratto della nonna.

I gesti e gli sguardi umani sono il mezzo di espressione prescelto in questo poema visivo: non ci sono dialoghi. Ma anche il contatto fisico è centrale: la pressione del pennello sulla tela può avere una valenza simile a quella di tutti i contatti fisici di conforto che si delineano nel racconto.

Ritornare a toccare la tela col pennello equivarrebbe allora a tornare ad abbracciare i propri ricordi, sinora esorcizzati e “rinchiusi” in uno spazio buio della memoria, come il ritratto della donna, abbandonato in una stanza e coperto da un telo bianco. La vista diventa una fonte di rievocazione sentimentale: quel dipinto riportato alla luce consentirà al protagonista di riattivare il ricordo della moglie e di visualizzarla in una dimensione onirica, ritrovando l’ispirazione artistica.

La riconciliazione con l’arte si dimostra essere un mezzo vivificatore per l’artista, che esce dalla sua stasi esistenziale, ma anche per l’oggetto del ricordo: anche la moglie, come lui, può “tornare a vivere” nella mente del protagonista e materializzarsi nei suoi dipinti. La narrazione è semplice e breve: in soli nove minuti siamo immersi in un piccolo dramma personale e familiare, ma che affronta temi universali ed esistenziali: il tema del lutto, della perdita della persona amata, della stasi emotiva, della vecchiaia e della mancanza di ispirazione artistica.

Forse non sorprende, non ci sono colpi di scena o trame complesse. Ma se l’obiettivo del regista fosse, in questi nove minuti, quello “semplicemente” di emozionare?



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