Nel XXI secolo dove la comunicazione viaggia a velocità supersonica e la distanza si annulla con un semplice click, emerge un fenomeno inquietante: la facilità con cui ci si nasconde dietro una tastiera per esprimere giudizi e cattiverie. Dietro l'anonimato del web, si scatenano le ire funeste di leoni da tastiera, pronti a vomitare insulti e minacce, a offendere e denigrare chiunque non la pensi come loro.
Nel 1850 Nathaniel Hawthorne scrisse "La Lettera Scarlatta", un romanzo ambientato nella colonia di Puritani del Massachusetts. La storia ruota attorno a Hester Prynne, una donna condannata per adulterio, costretta a portare una "A" scarlatta come segno distintivo della sua colpa. Questa narrazione riflette il potere distruttivo della stigmatizzazione pubblica, evidenziando come la società possa condannare e isolare un individuo per una presunta trasgressione morale.
Da allora poco è cambiato. Oggi, a distanza di 180 anni dalla pubblicazione del romanzo, nell'era digitale, l'accesso immediato alle informazioni e la condivisione incontrollata sui social media hanno dato vita a un fenomeno insidioso: le gogne mediatiche.
I social network, in particolare, si trasformano in un tribunale virtuale dove la gogna mediatica diventa la pena capitale per chi osa esporsi. Un terreno fertile per l'odio gratuito, dove la diffamazione corre veloce come un virus e la reputazione di una persona può essere distrutta in pochi secondi. Basta un post infelice, una foto fuori contesto, un commento scomodo per scatenare l'orda di cyberbulli, pronti a colpire con ferocia e senza pietà.
Nel mirino finiscono tutti: personaggi pubblici, politici, influencer, ma anche persone comuni, colpevoli solo di essere diverse, di esprimere un'opinione discordante o di aver commesso un errore. La sofferenza delle vittime è spesso invisibile, ma non per questo meno reale. L'umiliazione pubblica, l'isolamento sociale, la depressione e persino il suicidio possono essere le tragiche conseguenze di un cyberbullismo dilagante.
Le persone che diventano vittime di questi attacchi online spesso si trovano nel vortice del giudizio di sconosciuti, giudizio che nella quasi totalità dei casi non è basato sulla realtà, ma su percezioni distorte create dalla maschera dell'anonimato.
Per comprendere meglio questo fenomeno, basta uscire dalla propria “confort zone digitale” e approcciare in gruppi Facebook, forum dove l'odio regna sovrano, oppure su X (ex Tweeter) per imbattersi su frasi cariche di rancore. Un viaggio agghiacciante che porta a contatto con la parte più oscura dell'animo umano, senza distinzione di età, sesso o estrazione sociale.
Ma cosa spinge queste persone a nascondersi dietro una tastiera per vomitare la propria cattiveria? Le motivazioni sono diverse: frustrazione personale, invidia, codardia, bisogno di attenzioni. L'anonimato del web diventa una maschera che permette di liberare la propria rabbia repressa, di sfogare la frustrazione per una vita insoddisfacente, di sentirsi potenti ed importanti almeno nel mondo virtuale.
Le gogne mediatiche non sono un problema individuale, ma un impatto negativo sull'intera società. Creano un clima di terrore e intimidazione, limitano la libertà di espressione, alimentano la divisione e l'odio. La diffusione di fake news e la disinformazione incontrollata contribuiscono a creare un'atmosfera di sfiducia e paranoia, danneggiando il tessuto sociale e le relazioni umane.
Relazioni umane che stanno scomparendo.
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