REDDITO DI CITTADINANZA E ASSEGNO D'INCLUSIONE - due facce della battaglia persa alla povertà in Italia
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REDDITO DI CITTADINANZA E ASSEGNO D'INCLUSIONE - due facce della battaglia persa alla povertà in Italia

L'Italia è uno dei paesi europei con il più alto tasso di povertà e di disuguaglianza sociale. Secondo l'Istat, nel 2022 il 20,1% delle persone residenti in Italia risultava a rischio di povertà, con circa 11 milioni e 800 mila individui con un reddito netto inferiore al 60% di quello medio (33.798 euro). La situazione è ancora più grave per i minori, che sono il 28,8% dei poveri assoluti, e per gli stranieri, che hanno una quota di povertà assoluta del 29,3%, contro il 7,2% degli italiani.

 

Per contrastare questo fenomeno, il governo italiano ha introdotto nel 2019 il Reddito di cittadinanza (RdC), una misura di sostegno al reddito e all'inclusione sociale e lavorativa, destinata ai nuclei familiari con all'interno disoccupati o inoccupati, ma abili al lavoro, entro determinati limiti di reddito e ISEE. Il RdC prevedeva un importo fino a 780 euro al mese, più la quota di affitto fino a massimo 280 euro, e l'obbligo di accettare una delle prime tre offerte di lavoro congrue proposte dai Centri per l'impiego.

 

Tuttavia, il RdC ha incontrato diverse critiche e difficoltà operative, sia per la sua scarsa efficacia nel favorire l'occupazione, sia per la sua elevata spesa pubblica, sia per i numerosi casi di abuso e di evasione fiscale. Per questi motivi, il RdC è stato sostituito dal 1° gennaio 2024 dalle nuove misure di inclusione sociale e lavorativa, introdotte dal Decreto lavoro 2023.

 

Tra queste, la principale è l'Assegno di inclusione (ADI), una misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli, che sostituisce il RdC per i nuclei familiari che hanno al loro interno almeno un disabile, un minore o un anziano con più di 60 anni. L'ADI varia da 40 a 500 euro al mese, a cui si possono aggiungere al massimo 280 euro per chi vive in affitto, e non prevede l'obbligo di cercare o accettare un lavoro, ma solo di aderire a un progetto personalizzato di inclusione sociale, elaborato dai servizi sociali dei Comuni.

 

L'ADI si differenzia dal RdC anche per i requisiti di accesso, più stringenti, e per la durata, limitata a 18 mesi, rinnovabili solo dopo una verifica delle condizioni economiche e sociali del beneficiario.

 

Per chi non ha diritto all'ADI, ma è in condizione di povertà e disoccupazione, il Decreto lavoro 2023 ha previsto il Supporto per la Formazione e il Lavoro (SFL), una misura di sostegno al reddito e all'inserimento lavorativo, che prevede un importo di 300 euro al mese per un massimo di 12 mesi, a condizione di partecipare a percorsi di formazione, tirocinio o servizio civile.

 

Queste nuove misure, secondo il governo, hanno l'obiettivo di rendere più efficace ed efficiente la lotta alla povertà in Italia, incentivando l'attivazione e la responsabilizzazione dei beneficiari, e riducendo gli sprechi e gli abusi. Tuttavia, non mancano le critiche e le perplessità da parte di alcuni esperti e associazioni, che ritengono che l'ADI sia troppo restrittivo e insufficiente a garantire una vita dignitosa alle persone in difficoltà, e che il SFL sia troppo esiguo e temporaneo per favorire una reale integrazione nel mercato del lavoro.

 

La povertà in Italia, infatti, è un fenomeno complesso e strutturale, che richiede interventi integrati e coordinati tra le diverse istituzioni e i diversi livelli territoriali, nonché una maggiore attenzione alle cause e alle conseguenze della disuguaglianza sociale. 

 

Per contrastare questo fenomeno, non bastano le misure di sostegno al reddito, ma occorrono anche politiche di sviluppo, di coesione, di educazione, di sanità, di welfare, di fiscalità, che siano in grado di ridurre le disparità e di promuovere le opportunità per tutti i cittadini, soprattutto per i più vulnerabili e marginalizzati. Solo così si potrà realizzare una vera inclusione sociale, che non si limiti a dare una mano, ma a dare una speranza.

 

In conclusione, il Reddito di cittadinanza e l'Assegno d'inclusione sono due strumenti diversi, che rispondono a esigenze e obiettivi differenti. Il primo era rivolto a tutti i nuclei familiari in condizione di povertà e disoccupazione, con l'intento di garantire un minimo di reddito e di favorire l'ingresso nel mercato del lavoro. Il secondo è destinato solo a una parte di essi, quelli con componenti fragili o vulnerabili, con lo scopo di sostenere il loro benessere e la loro inclusione sociale. Entrambi, però, non sono sufficienti a risolvere il problema della povertà in Italia, che richiede una visione più ampia e integrata, che tenga conto della qualità della vita e delle opportunità dei cittadini.

 

Il Reddito di cittadinanza ha suscitato fin dall'inizio polemiche e critiche, sia per i suoi costi, sia per la sua efficacia, sia per i suoi effetti sul mercato del lavoro. Molti percettori del sussidio sono stati oggetto di scherno e di campagna denigratoria, accusati di essere fannulloni, parassiti, evasori, furbetti. Alcuni casi di frode e di irregolarità, emersi dai controlli della Guardia di Finanza e dell'Inps, hanno alimentato la narrazione negativa e stigmatizzante nei confronti dei beneficiari del RdC.

 

Tuttavia, con l'avvento dell'Assegno di inclusione sembra che lo scherno e la campagna denigratoria si siano attenuati, se non fermati. Forse perché l'ADI è una misura più restrittiva e selettiva, che si rivolge solo ai nuclei familiari con componenti fragili o vulnerabili, e non a tutti i disoccupati o inoccupati. Forse perché l'ADI non prevede l'obbligo di cercare o accettare un lavoro, ma solo di aderire a un progetto di inclusione sociale, che può essere più facilmente accettato e condiviso dalla società civile. Forse perché l'ADI ha un importo inferiore al RdC, e quindi un impatto minore sul bilancio pubblico.

 

Ma queste spiegazioni sono davvero convincenti? O si tratta solo di una tregua temporanea, in attesa che emergano nuovi motivi di contestazione o di delegittimazione? La povertà in Italia è un fenomeno che richiede una maggiore sensibilità e solidarietà, che non si traduca in giudizi sommari o in discriminazioni, ma in rispetto e in sostegno reciproco. Solo così si potrà costruire una società più giusta e inclusiva, che non lasci indietro nessuno.

 


La povertà in Italia è un fenomeno che richiede una maggiore sensibilità e solidarietà

 

 

 

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